Le famiglie sono fatte di molte cose: baci, abbracci, pacche sulle spalle, discussioni, liti, scambi intergenerazionali, tradizioni, emozioni, vita. La mia è fatta di chilometri.
Ho passato le mie vacanze estive, dalla nascita ai 18 anni, in un paesino (ma -ino -ino) della Polonia, a circa 40-50 km da Varsavia, la capitale europea che ha dato i natali a mia mamma. Quel paesino lo raggiungevamo tutti gli anni (tranne qualche rara eccezione) con un viaggio di 24 ore (più le pause) in macchina attraverso l’Europa.
Di quei viaggi ho ricordi meravigliosi, nonostante abbia sempre sofferto il mal d’auto.
Più di una volta, da quando abbiamo smesso di farli, ci è capitato di sentirne la nostalgia.
Non so sicura di cosa mi manchi di più, se l’obbligo del tempo passato insieme, se i pranzi al sacco preparati la sera prima da mia mamma, se il panorama in continua evoluzione fuori dal finestrino, se il gioco a contare quanti veicoli di quanti Paesi diversi incontravamo, se la sensazione di stare vivendo una nuova avventura (e a volte lo è stata davvero) o se le canzoni degli ABBA cantate a squarciagola.
Ma, forse, quello che mi manca di più è la sensazione di felicità per l’avvicinarsi della meta, ora dopo ora.
Chiunque di voi viva, o abbia vissuto, lontano da qualcuno che ama, sa di cosa parlo: quel sentimento di tornare a casa, abbracciare nuovamente i nostri affetti, recuperare il tempo perso. È una sensazione che provo ancora oggi ogni volta che torno in Polonia: solo che ora ci vado in aereo, non è la stessa cosa.
I chilometri possono dividere e unire, contemporaneamente: è tutta una questione di piccole cose. Ho provato a riassumerne qualcuna che riguarda me e la mia famiglia.
I CHILOMETRI CHE CI HANNO UNITI
La mia famiglia polacca è molto numerosa, talmente numerosa che non conosco tutti gli zii e i cugini che la compongono. Le nostre vacanze passate lì non sono mai state più lunghe di due mesi né più corte di tre settimane e in quei giorni cercavamo di vedere più persone possibili.
Vedere più persone possibili si traduceva in:
- pranzi infiniti a base di carne alla brace, insalate di vario genere (non avete idea di quante insalate si possano preparare per un solo pranzo) e quantitativi non indifferenti di alcolici (birra, ma soprattutto vodka) a cui potevano accedere esclusivamente i maggiorenni. Pranzi fatti di tavolate all’aperto di un numero variabile tra le 15 e le 30 persone: era un recupero in unica sessione di tutte le festività che non avevamo passato insieme.
- visite a 2 zie + bisnonna nello stesso giorno, con conseguente ingrasso di circa 5 kg a testa in meno di 24h. Il miglior tour gastronomico che abbia mai fatto.
Ma i chilometri hanno unito anche noi 4, me, mia sorella e i miei genitori. Stare nello stesso abitacolo per tutte quelle ore, permette davvero di capire se ci piace o meno passare il tempo con i nostri compagni di viaggio. E se quei compagni di viaggio sono i componenti della tua famiglia, impari tantissimo, su di loro e su di te.
Volete qualche esempio? Eccovi accontentati.
In 48h di macchina all’anno, per 18 anni di viaggi, puoi imparare che:
- tua sorella è in grado di dormire così tante ore e in così tante posizioni diverse che non pensavi nemmeno fosse umanamente possibile,
- tua mamma sa esattamente quanti chilometri mancano alla prossima tappa solo guardando l’unica carta stradale che avete (è diplomata in geologia ndr) e puoi imparare anche tu come si fa,
- tuo papà dice di non avere senso del ritmo, ma poi picchietta perfettamente a tempo su qualsiasi canzone passi per radio
D’altronde dicono che viaggiare allarghi la mente, no?
I CHILOMETRI CHE CI HANNO DIVISI
I chilometri che ci separano fisicamente dai parenti polacchi si sono tradotti, ovviamente, anche in tante piccole mancanze. Quando sei piccolo e sei abituato a vivere così, per quanto il distacco ad ogni ripartenza sia stato doloroso, ci sono tante cose che non noti, dai per scontato. Quando ho imparato a capire cosa significassero davvero quei chilometri, il dolore si è moltiplicato e si è aggrappato a così tante cose di ogni giorno che, a volte, mi sembra assurdo non essermene accorta prima.
Per esempio, io amo il Natale: per me è LA festa dell’anno e a questo ha contribuito anche mia mamma.
La Polonia è un Paese a maggioranza cattolica (parliamo dell’80-90% della popolazione) e per questo il Natale è una festa da sempre molto sentita. Ci sono una serie di rituali che vengono seguiti da tutte le famiglie ed è veramente la festività più tradizionale che esista.
Io il Natale l’ho sempre festeggiato in Italia.
Affrontare lo stesso viaggio una seconda volta durante l’anno, per di più d’inverno, sarebbe stato complesso (oltre che economicamente oneroso), l’aereo era un’opzione riservata alle emergenze e, in più, in Italia avevamo una famiglia molto poco numerosa: abbiamo sempre passato il Natale con loro. Dei miei parenti polacchi solo i miei nonni (2 volte) e mio cugino più grande (una) hanno passato il Natale con noi, tutti gli altri no. Se prendere l’aereo per noi era oneroso, per loro era un lusso.
Non ho fatto caso a questa cosa per molto tempo, per me era così e basta: per di più mia mamma faceva molti sforzi per portare più Polonia possibile in ogni Natale. Seguivamo i riti polacchi alla Vigilia e quando ho scoperto che i miei coetanei festeggiavano in modo completamente diverso da me, mi è dispiaciuto per loro: io trovavo tutto così speciale.
Ho ripreso quei riti quando ho creato una famiglia tutta mia e continuerò a seguirli, crescendo ho imparato quanto fossero importanti e perché.
Nel 2016 ho visto per la prima volta l’atmosfera natalizia a Varsavia: quando sono arrivata davanti all’albero della Piazza del Castello ho pianto, di felicità.
Le piccole, grandi cose di cui è fatta una famiglia a distanza sono molte.
Ho deciso che piano piano vi racconterò quelle più interessanti, dolorose, comiche, incredibili che ho imparato, scoperto e vissuto nel corso della mia vita.
Era tanto che volevo avere il coraggio di scriverle, l’anno dei 30 mi sembra il momento perfetto per iniziare.
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